Giorno 10: Un futuro da leader

Giorno 10: Un futuro da leader

I progetti del futuro iniziano da questo viaggio. Non c’erano alternative: qualcosa di speciale lega Italia e Israele e qualcosa di altrettanto speciale nascerà da noi giovani leader.

È giunto il momento, come si suole dire, ti tirare le somme. Siamo seduti in cerchio e c’è già qualche lacrima che scende perché questo è uno degli ultimi momenti condivisi.

Eliav ci chiede di guardarci dentro e di trovare un “insight”, una riflessione personale su questo viaggio e anche una domanda alla quale sentiamo di dover trovare una risposta da quel momento e in futuro.

Un attimo di silenzio e poi alcuni pop-corn iniziano ad essere pronti: a LEAD si usa questo metodo, per cui ognuno può esprimere la sua idea solo quando si sente pronto e quindi l’effetto è quello di una pentola di pop-corn in cui si sentono scoppiettii casuali, uno dopo l’altro.

Non è così difficile riportare su questa pagina quello che ci siamo detti, dal momento che le emozioni, i ricordi e i sogni per il futuro erano praticamente gli stessi per tutti noi; forse la difficoltà sta nel trovare le parole giuste per trasmettere a te, lettore, quella magia che si percepiva nella stanza e anche nell’accogliere quella forte nostalgia che mi stringe la pancia mentre rileggo gli appunti che Maayan ha preso mentre parlavamo.

Alcuni di noi sapevano che quanto avrebbero detto sarebbe stato un po’ riduttivo rispetto alla grandezza dell’esperienza vissuta: la nostra mente non aveva ancora elaborato l’enorme quantità di cose che avevamo fatto in quei dieci giorni e la grandezza delle persone incontrate. Tutto sembrava – e sembra ancora – così magico e così irreale. A cominciare dagli abbracci del primo incontro: spontanei, carichi di affetto e più potenti di qualsiasi altra presentazione; per poi passare alla comunità che abbiamo creato e a quell’unica lingua che stavamo parlando. Non intendo l’inglese, ma la lingua della leadership. La maggior parte di noi era affascinata dal fatto che non siano servite spiegazioni: leader italiani e israeliani sentono le stesse paure, trovano gli stessi ostacoli, vogliono risolvere i problemi del sistema educativo, dell’integrazione, delle relazioni tra persone. Non c’è stata distinzione tra Italia e Israele e noi leader abbiamo creato una comunità perché ognuno di noi vuole fare del bene, perché ognuno si prende a cuore gli altri, perché vuole rendere il mondo un posto migliore.

Alcuni hanno detto che il momento in cui ci siamo incontrati è stato il momento in cui hanno trovato persone che credono nelle stesse cose in cui anche loro credono, quel tipo di persone che da tanto tempo stavano cercando. Altri hanno scoperto un tipo di relazione speciale, che in Italia, nella “vita reale”, non avevano mai sperimentato e concludono che possono considerarci i loro migliori amici. Altri ancora hanno capito che non si smette mai di scoprire cose nuove di una persona, anche se questa è un tuo amico israeliano che conosci dall’infanzia.

C’è chi per l’intero viaggio ha sempre sognato noi leader assieme e chi ci promette che il futuro sarà davvero bellissimo. Non serve chiederle come arrivare il prima possibile a questo futuro perché ognuno di noi già lo sa: ASSIEME. Il leader sa bene che ognuno è leader a suo modo e che non ci sono definizioni univoche per la leadership, così che solo assieme ad altri leader si può acquistare un valore extra, un super potere che davvero può permetterci di superare tutti gli ostacoli e di realizzare speranze, sogni e cose buone per cambiare il mondo fuori di noi. E quindi c’è anche chi aggiunge un altro ingrediente alla leadership: l’AMORE.

Mancano ancora due ingredienti per questa pozione magica: essere SE STESSI e non smettere di SOGNARE. Ovviamente serve una storia in stile Israele per aggiungere il penultimo ingrediente: è la storia di Reb Zusha, uno dei più grandi rabbini della storia, che è certo che una volta raggiunto il paradiso non gli sarà chiesto perché non è stato una certa persona x, ma piuttosto perché non è stato Reb Zusha, perché non è stato se stesso.

Infine ci viene chiesto di continuare a sognare e di credere nei nostri sogni: non è una cosa da bambini, anzi è da due sogni che sono nate LEAD e LEADIT.

Una volta che la ricetta è conclusa sappiamo che ci sono due opzioni: custodire questo viaggio come un prezioso ricordo o uscire dall’ufficio di LEAD e fare grandi cose, prenderci l’impegno di cambiare le cose, “ to get involved” – di essere appieno partecipi in quello che facciamo. Ma a nessuno di noi serve del tempo per scegliere tra le due opzioni perché per tutti è chiaro che l’unica possibilità è la seconda. Non a caso le domande a cui ognuno di noi si impegnava a trovare una risposta sono: come possiamo continuare a mantenerci in contatto? Come coltiviamo quello che qui è nato e come lo facciamo fruttare? E ancora, come possiamo ricreare quella stessa magia che ci ha legato così fortemente anche con le altre persone al di fuori LEAD? Come possiamo portare quello che abbiamo imparato in questi giorni nella quotidianità? Come possiamo conservare la serenità che questi giorni ci hanno donato in una vita spesso frenetica? Come possiamo parlare di leadership anche a chi non l’ha mai conosciuta? Come possiamo essere veri leader in un mondo che vuole capi, potere e ricchezza? Come possiamo rendere migliore LEADIT?

Sono tutte queste domande che fanno di questo viaggio un “starting point”, un punto di partenza, un inizio per qualcosa che davvero sembra più grande di noi e che aspira ad abbattere i confini, tutti, di qualsiasi tipo.

Da questo punto di partenza il primo passo è già stato fatto: noi Alumni italiani abbiamo pensato ad alcuni progetti da far nascere e crescere in collaborazione con i ragazzi israeliani. Ad essere sinceri non c’erano alternative: qualcosa di speciale ci lega e qualcosa di altrettanto speciale nascerà da noi.

 

A cura di Tosca Naletto

 

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Elettra Favotto
elettraf@leaditalia.com